La dichiarazione di una lavoratrice bergamasca, malata di cancro, mette in luce le criticità del sistema sanitario lombardo, evidenziando una preoccupante disparità tra chi può permettersi cure private e chi no.
La realtà del sistema sanitario in Lombardia viene messa in discussione da un’accorata testimonianza che giunge dalla Cgil di Bergamo. Una lavoratrice, affrontando una malattia oncologica, si è vista prescrivere dal suo medico quattro esami diagnostici urgenti. Tuttavia, la realtà con cui si è scontrata per la prenotazione di questi esami attraverso il sistema pubblico è stata sconcertante: i primi appuntamenti disponibili erano fissati per fine 2025. Una tempistica inaccettabile per chi combatte contro il cancro, dove ogni giorno può fare la differenza.
Davanti a tale attesa, l’unica via percorribile per la donna è stata quella di rivolgersi a strutture private, riuscendo a ottenere gli appuntamenti necessari per il 7 marzo, a fronte di una spesa di 422 euro. Questa situazione porta alla luce un amaro paradosso: mentre chi dispone di risorse finanziarie può accedere tempestivamente alle cure necessarie, chi si affida al sistema pubblico è costretto ad attendere mesi, se non anni, mettendo a rischio la propria salute. La dichiarazione della donna, “È chiaro che in Lombardia se un paziente ha i soldi vive, se uno non li ha, rischia la vita“, riassume in modo crudo la disuguaglianza intrinseca al sistema.
Questo episodio solleva questioni profonde sullo stato della sanità pubblica e sulla necessità di garantire l’uguaglianza nell’accesso alle cure. In una società che si fonda sui principi di equità e solidarietà, situazioni del genere evidenziano un’allarmante distanza da questi ideali. Il caso di questa lavoratrice bergamasca non è un’eccezione ma un sintomo di un problema più ampio che richiede attenzione e interventi urgenti da parte delle autorità competenti, affinché il diritto alla salute rimanga un principio universale e non un privilegio.