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“Dal 2017 mio figlio è in coma a causa di un pezzo di formaggio. La pediatra, troppo stanca, non lo ha visitato”, il dramma di Mattia raccontato dal padre

Sette anni di lotta per Mattia, in stato vegetativo dopo aver mangiato formaggio contaminato: i genitori chiedono giustizia e sensibilizzazione.

Una tragedia che cambia la vita

La vita della famiglia Maestri è stata sconvolta sette anni fa, quando il loro figlio Mattia, all’età di soli 4 anni, è entrato in stato vegetativo dopo aver consumato un pezzo di formaggio contaminato da escherichia coli.

Il formaggio, prodotto con latte crudo Due Laghi del caseificio sociale di Coredo, in Val di Non, era consigliato per la merenda dei bambini ma ha portato a una tragedia irreparabile.

Da sette anni la nostra vita è un inferno, ma continuiamo a combattere perché tragedie simili non devono ripetersi“, ha dichiarato Gian Battista Maestri, padre del bambino, sottolineando la gravità dell’incidente che ha colpito la sua famiglia.

Il rifiuto che ha peggiorato la situazione

Il giorno dell’incidente, Mattia è stato portato d’urgenza prima all’ospedale di Cles e poi a Trento. Al pronto soccorso pediatrico, nonostante la richiesta di consulto, una pediatra si sarebbe rifiutata di visitarlo, affermando di essere troppo stanca dopo una lunga giornata di lavoro.

Successivamente, Mattia è stato operato d’appendicite da un’altra dottoressa, ma la diagnosi si è rivelata errata, aggravando le sue condizioni fino a portarlo in uno stato vegetativo permanente.

Questo ha costretto la famiglia Maestri a imparare come gestire le complesse necessità mediche di Mattia, tra cui l’assunzione di 47 farmaci al giorno.

Una battaglia civica e legale

La famiglia Maestri ha intrapreso una battaglia civica e legale, sottolineando la responsabilità sia della pediatra che si è rifiutata di intervenire sia del caseificio per la produzione di un formaggio contaminato. Nonostante riconoscano che la colpa principale risieda nel caseificio, la famiglia non nasconde la rabbia verso la pediatra per il suo rifiuto di prestare le cure necessarie nei momenti critici.

“La nostra è una battaglia civica, quella dottoressa dovrebbe cambiare lavoro”, afferma Gian Battista.