Enrico Ruggeri, in occasione del suo imminente 67° compleanno e nel contesto della pubblicazione del suo libro “40 vite” edito da La Nave di Teseo, offre un bilancio personale della sua vita e carriera.
Attraverso il racconto dei suoi quaranta album, il cantautore milanese esprime un forte dissenso verso l’industria musicale contemporanea, sottolineando le differenze rispetto agli anni in cui ha iniziato. Ruggeri critica l’attuale predominanza della tecnologia nella produzione musicale e la mancanza di un vero processo creativo tra i giovani artisti, a differenza dei suoi tempi, quando figure come De Gregori e Battiato erano modelli di ricchezza interiore e dedizione artistica.
Ruggeri discute anche della percezione pubblica della sua musica, menzionando come, nonostante il successo di brani come “Il mare d’inverno” e “Quello che le donne non dicono”, scritti rispettivamente per Loredana Bertè e Fiorella Mannoia, si senta spesso trascurato dalla stampa mainstream, in parte a causa delle sue posizioni non allineate con il pensiero dominante di sinistra. Ricorda le sue esperienze giovanili di dissenso al liceo Berchet di Milano, dove si opponeva al “pensiero unico di sinistra”.
Ruggeri esprime poi le sue opinioni sulle restrizioni imposte durante il periodo del lockdown, paragonando quelle esperienze a una forma di dittatura, l’unica che afferma di aver conosciuto direttamente. Critica la severità delle misure adottate, come il Green Pass e le restrizioni alla libertà personale. Queste le sue parole: «L’unica dittatura che ho conosciuto è stata quella del lockdown, quando non si poteva uscire di casa senza Green pass e ti rincorrevano con l’elicottero se correvi in spiaggia”.