La presidente del Consiglio chiede 20mila euro di risarcimento per un episodio del 2021 legato a un podcast satirico. Il comico: “Attacco alla libertà di espressione”
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha querelato lo stand-up comedian Daniele Fabbri per alcune espressioni usate in una puntata del podcast Contiene parolacce, registrata nel 2021. Tra le parole incriminate, definite nella querela come “di una volgarità gratuita ed inaudita”, ci sarebbero termini come “puzzona”, “caccolosa” e “peracottara”, che secondo Meloni avrebbero avuto un impatto negativo sulla sua psiche.
La notifica della querela è arrivata nell’estate del 2023, ma solo dopo mesi Fabbri ha scoperto che era stata presentata proprio dalla premier. Un dettaglio che ha lasciato il comico senza parole: “Ho avuto un colpo al cuore. Avevo provato a fare delle ipotesi, ma non pensavo potesse essere lei, anche perché nel frattempo era diventata presidente del Consiglio”.
Secondo Fabbri, il monologo in questione non conteneva insulti diretti alla persona di Meloni, ma si trattava di una riflessione linguistica sulla percezione di alcuni termini usati nel dibattito pubblico. “Non c’erano insulti personali. Ho sempre condannato le offese di natura sessista o discriminatoria rivolte a Meloni”, ha dichiarato.
Nonostante ciò, la premier ha deciso di costituirsi parte civile, portando avanti la causa anche dopo la sua nomina a capo del governo e chiedendo un risarcimento di 20mila euro. Una decisione che ha sorpreso il comico: “Io e il mio avvocato pensavamo che sarebbe decaduta in fase predibattimentale”.
Fabbri ha espresso preoccupazione per le possibili conseguenze della vicenda sul diritto di satira e sulla libertà di espressione: “Il punto è che i politici possono permettersi di intentare cause senza conseguenze, mentre per un artista indipendente il peso economico è significativo. Se dovessi perdere, si creerebbe un precedente pericoloso: se per ‘puzzone’ si finisce in tribunale, domani non si potrà dire più nulla”.
Pur ammettendo che affrontare il processo lo mette sotto pressione, il comico assicura di non voler cedere alle intimidazioni: “Queste cose servono per spaventare, ma io non voglio farmi intimidire. Non voglio darle questa soddisfazione”.
Il caso ora finirà in tribunale, con una causa che potrebbe aprire un dibattito più ampio sul confine tra satira e diffamazione.