Il voto sull’Europa e sulle armi divide i dem, tra ribelli e fedelissimi. Bonaccini si smarca, mentre l’ex commissario europeo diventa l’uomo su cui si concentrano i sospetti
Il Partito Democratico si trova davanti a un bivio dopo il voto al Parlamento Europeo su Rearm Europe, il piano per il riarmo dell’Unione promosso da Ursula von der Leyen. La spaccatura interna è evidente: 11 astenuti hanno seguito la linea dettata dalla segretaria Elly Schlein, mentre 10 deputati hanno votato a favore, sfidando apertamente la leadership.
A pesare non sono solo i numeri, ma i nomi coinvolti. Tra gli astenuti, compaiono figure di spicco come Nicola Zingaretti, Dario Nardella, Brando Benifei, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Lucia Annunziata. Tra chi ha invece rotto la disciplina di partito votando a favore, spiccano Pina Picierno, Giorgio Gori e Antonio Decaro.
Ma un nome in particolare è al centro delle indiscrezioni e delle analisi interne al Pd: Paolo Gentiloni.
L’ex premier ed ex commissario europeo, oggi editorialista di Repubblica, è indicato da molti come il possibile beneficiario di questa crisi interna. La sua figura, sempre più accreditata nel mondo moderato e europeista, potrebbe rappresentare una carta di riserva per chi all’interno del Pd vorrebbe un cambio di rotta.
A rafforzare questa ipotesi, il sostegno che negli ultimi giorni Romano Prodi ha mostrato per posizioni più intransigenti sul tema della difesa europea, criticando indirettamente la linea adottata da Schlein.
A complicare ulteriormente il quadro, c’è poi il voto di Stefano Bonaccini, presidente del Pd, che ha deciso di non seguire la segretaria e votare a favore del piano europeo, segnalando così una frattura anche con chi fino a oggi era considerato un alleato interno.
La battaglia nel Pd non si esaurirà con questo voto. Per molti, quanto accaduto a Strasburgo è solo un’anteprima di una resa dei conti che potrebbe emergere nei prossimi mesi.
La leadership di Elly Schlein appare sempre più sotto pressione, con una parte del partito che spinge per un ripensamento strategico e un avvicinamento all’ala più moderata, mentre un’altra continua a difendere una linea più identitaria e vicina ai Verdi e alla sinistra europea.
Nel frattempo, i giochi di potere interni proseguono, con il nome di Gentiloni che torna a circolare come possibile alternativa. Ma la strada per un eventuale cambio di leadership è ancora lunga e incerta.