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Caos Pd , vicina la resa dei conti, traballa la poltrona di Bonaccini da Presidente del partito

Dopo il voto sulla mozione per il Consiglio europeo, il Partito Democratico resta unito formalmente, ma la questione ucraina e il riarmo continuano a creare tensioni interne. Si profila un confronto sulle scelte future, con possibili ripercussioni anche sugli organi di vertice del partito.

Il voto compatto sulla mozione, ma le tensioni restano

Dopo lo scontro interno a Strasburgo sulla risoluzione per il Piano di riarmo europeo, i deputati del Partito Democratico hanno trovato un’unità apparente nel voto di ieri alla Camera. La mozione presentata dal responsabile esteri del partito, Giuseppe Provenzano, è stata approvata senza defezioni, con l’unica eccezione di Lorenzo Guerini, che ha sostenuto il testo presentato da Azione e Italia Viva.

Nonostante la compattezza mostrata in Aula, la questione del sostegno all’Ucraina e delle spese militari europee resta un tema divisivo, destinato a riemergere nelle prossime settimane. La segretaria Elly Schlein dovrà affrontare un dibattito interno che potrebbe sfociare in un chiarimento sulle posizioni del partito, con conseguenze anche sulla sua squadra dirigente.

I riformisti frenano: “Non riaprire la discussione”

L’area riformista, rappresentata da Energia Popolare, sembra voler evitare nuove tensioni. Secondo alcuni esponenti, la scelta di Guerini è stata una presa di posizione simbolica, volta a ribadire il sostegno a una difesa comune europea. Allo stesso tempo, la corrente sottolinea il successo nel respingere le mozioni di Alleanza Verdi e Sinistra e del Movimento 5 Stelle, che proponevano di fermare gli aiuti militari a Kiev.

I riformisti chiedono di non enfatizzare le divisioni, evidenziando che il Pd, in quanto secondo partito del Paese, deve essere capace di tenere insieme posizioni differenti. “Non siamo una forza politica al 3%, è normale e sano avere punti di vista diversi”, affermano i moderati, sottolineando la necessità di una leadership aperta al confronto.

Il nodo Bonaccini e il possibile rimpasto

Mentre la corrente riformista cerca di smorzare le tensioni, dalla segreteria emergono segnali di nervosismo. A farne le spese potrebbe essere il presidente del partito, Stefano Bonaccini, nominato a seguito della sconfitta alle primarie come figura di equilibrio tra le diverse anime del Pd.

Bonaccini, che in passato ha fatto aperture a Schlein, si è ritrovato in difficoltà dopo la spaccatura sul voto di Strasburgo, concluso con una maggioranza risicata (11 a 10) per l’astensione sul piano di riarmo. Ora, sia la sua area di riferimento che la maggioranza interna lo accusano di non aver gestito al meglio la situazione, mettendo in discussione il suo ruolo di garanzia.

Confronto interno o congresso?

Il chiarimento annunciato da Schlein avverrà sicuramente, ma resta da definire in che modalità. L’ipotesi di un congresso anticipato appare improbabile, anche perché costringerebbe la segretaria a rimettere il mandato. Più plausibile è un confronto mirato, che potrebbe sfociare in una revisione della segreteria o in un ridimensionamento del ruolo di Bonaccini, a vantaggio di una gestione più accentrata della leadership.