Il convivente non parente ha una relazione affettiva dimostrabile. Non conta la parentela ma la comunanza di vita e affetti. La Suprema Corte ritiene risarcibili danni patrimoniali e non patrimoniali dei conviventi “membri di fatto” come se fossero parenti
I vincoli affettivi valgono quanto e forse di più di quelli di consanguineità nella vita reale. A recepire questa realtà della nostra società nel quale i vincoli di fatto sono a volte ben più solidi di quelli derivanti dal DNA – rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – è stata la Cassazione civile, con l’importante ordinanza 18568/18, pubblicata il 13 luglio, che apre nuove frontiere in tema di risarcimento a seguito della perdita di un “membro di fatto” di una famiglia che non sia legato la vincoli di parentela, ma che risulti convivente da tempo. Ed il principio espresso è chiarissimo: quando in conseguenza di un sinistro stradale muore un componente di fatto della famiglia, i superstiti hanno diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non: ciò che conta è che fra loro vi fosse una relazione affettiva connotata da una stabile convivenza. Tale orientamento è fondato anche in ragione dell’articolo 1 del decreto legislativo 212/15, che recepisce la direttiva 2012/29/Ue sulle vittime di reato che ha modificato l’articolo 90 Cpp, stabilendo che, in caso di decesso di persona offesa in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge possono essere esercitati e fatti valere non soltanto dai «prossimi congiunti» della stessa, ma anche «da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. La vicenda approdata innanzi alla Suprema Corte, trae origine dal ricorso di una coppia di coniugi che aveva accolto in casa l’anziana vittima dell’incidente (come trasportata in uno dei due veicoli coinvolti). Nei primi due gradi di giudizio, i due coniugi si erano visti rigettare le proprie richieste risarcitorie in ragione dell’assenza di vincoli di parentela tra gli stessi e l’anziana defunta. Eppure nel corso dell’istruttoria era inequivocabilmente emerso che questa, pur non essendo parente, era stata da sempre trattata come uno stretto congiunto dai ricorrenti. Solo per fare un esempio, i figli della coppia si rivolgevano a lei come una nonna o una vecchia zia come era stato confermato anche dai testimoni escussi nel corso del giudizio di merito. Né ciò era stato smentito dall’assicurazione o dal conducente e dal proprietario del veicolo controparti nel giudizio: rilevanti in tal senso, fra l’altro, i telegrammi di cordoglio recapitati a casa dopo la tragedia. Ricorda la terza sezione civile della Cassazione nell’accogliere il ricorso, che l’articolo 1 del decreto legislativo 212/15 ha modificato l’articolo 90 Cpp ha stabilito che in caso di decesso della persona offesa dal reato possono essere risarciti anche altri soggetti diversi dai «prossimi congiunti». Certo, non tutti i conviventi possono accampare diritti, ma ottengono il risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale coloro che erano legati alla vittima da comunanza di vita e di affetti, come nel caso di specie in quanto i coniugi «erano legati da stretto, forte e stabile rapporto affettivo con la … rispetto alla quale — per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale affettivo, particolarmente intensa, risultata esservi tra loro – si ponevano come familiari di fatto». A ciò, quindi, non può non seguire anche il risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti dalla perdita della “cara”. Ed infatti, oltre al danno iure proprio patito dalla coppia, dovrà essere liquidato anche quello non patrimoniale: la signora è rimasta in vita oltre sei ore dopo il sinistro riconoscendo le persone intorno a lei. Dovrà essere corrisposto anche il cosiddetto danno biologico e morale terminale che prima di morire è entrato nel suo patrimonio. E su questo aspetto, non bisogna dimenticare l’aiuto che dava alla famiglia di fatto con la sua pensione. La parola al giudice del rinvio per la liquidazione del danno.