Riforma pensioni come potrebbe cambiare la legge Fornero
Che il tema pensioni e previdenza sia sempre stato il macigno di molti governi, non si può negare, ma che l’ultimo esecutivo è ricordato soprattutto per una norma voluta e approvata è fuori dubbio.
Il guaio è che le conseguenze di quella legge che porta il nome dell’ex Ministro del Welfare sta schiacciando le speranze di migliaia di lavoratori che sonno, stanno e staranno per andare in pensione. L’aver fatto uno dei cavalli di battaglia del Governo Letta ha attirato ancor più l’attenzione dei mezzi di comunicazione su una tematica così delicata, importante e influente sulle vite delle persone che deve spingere governo e Ministro a prendere una seria posizione in merito a tanto.
La situazione è ancor più grave e allarmante se si pensa alla categoria degli esodati che deve assolutamente trovare una stabilità di trattamento, che è stata oggetto di tre decreti per la salvaguardia di una prima tranche di ex lavoratori: ma il fatto è che il numero degli esodati è cresciuto dall’approvazione di quei decreti e tenderà a crescere nel tempo: la Ragioneria dello Stato parla di circa 300 mila persone che ancora non hanno sono state oggetto di tutela e che sono in attesa di apprendere se e di quali benefici economici potranno essere destinatari. Certo Letta e il suo team di Ministri ha tra le mani argomenti di scottanti di celere soluzione quali l’aumento dell’IVA, l’eliminazione dell’IMU almeno sulla prima proprietà, oltre che di alcune tematiche contenute nel Decreto del Fare, di recente approvazione dal Consiglio dei Ministri.
Ma il tema esodati non sarà e non può essere messo da parte: stando a quanto detto dal senatore del Pd Giorgio Santini, la situazione degli esodati sarà il passo successivo, perché è di estrema urgenza trovare una soluzione a questi lavoratori, che si sentono abbandonati, privi di un sostegno economico e senza alcune notizie sul loro futuro pensionistico. Stando a quello che si dice, l’autunno sarà la stagione in cui i ministri affronteranno la situazione e non prima; dopo di che dovrebbero procedere anche a riformare alcune norme della Legge Fornero perché è impensabile e troppo difficoltoso procedere ad una integrale revisione della legge.
La prima e importante conseguenza dovrebbe essere l’incentivazione della flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro come previsto nella proposta rappresentata dal Presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, la quale prevede che per andare in pensione è necessario avere un’età tra i 62 e i 70 anni, con almeno 35 anni di contributi, con decurtazione per ogni anno di differenza tra i 62 e i 65 anni del 2%. Medesima percentuale ma in aumento sul capitale pensionistico si applica a coloro che hanno 67 anni e decidono di rimanere al lavoro fino ai 70 anni. Per chi ha 66 anni non avrà diritto né bonus né malus. Il tutto per porre un rimedio alla tragica situazione in cui si trovano i lavoratori che sono andati, che stanno andando o che vorrebbero andare in pensione ma ancora non sanno a quali condizioni e se tali rimarranno. Dal ‘Rapporto sullo Stato sociale 2013′, redatto della facoltà di Economia de La Sapienza, si legge: “E’ stato valutato che il forte aumento dell’età di pensionamento deciso nel dicembre 2011, aumentando il costo del lavoro e riducendo la produttività, inciderà negativamente sul tasso di disoccupazione, aumentandolo di circa un punto percentuale.
D’altra parte il minor numero di pensionamenti provocati già nel 2012 dagli slittamenti dell’età di pensionamento decisi dal precedente governo ha già contribuito al contestuale aumento della disoccupazione giovanile oramai proiettato verso il 40%”. Intanto, in Commissione Lavoro della Camera è stato affrontato e discussa la proposta di legge n. 1186 del Movimento 5 Stelle che riguarda la revisione del trattamento pensionistico del personale della scuola, di cui prima firmataria è la deputata grillina Maria Marzana e che non demorde su questa vicenda e ripropone la situazione della cd. “quota 96”. L’accusa che viene mossa al precedente Governo è di aver sottovalutato che questo settore pensionistico non può essere rapportato ed uniformato a quelli della Pubblica Amministrazione.
Il punto più problematico e che è quello criticato fortemente della legge Fornero è quanto si prevede nella “norma di salvaguardia”, che non considera meritevoli di tutela i lavoratori che alla data del 31.12.2011 hanno requisiti per andare in pensione, perché non sono state considerate specificità, lavorativa e pensionistica, del Comparto Scuola, e ancor peggio l’anno che cui nella norma si fa riferimento non è quello solare ma quello scolastico. Non si comprende perché sia stata questa la scelta della Fornero e di coloro che l’hanno approvata, perché tutta la regolamentazione pensionistica prima del 2011, cioè prima del Governo Monti, mai ha tralasciato l’importanza della specificità ed è sempre stata mantenuta la distinzione tra momento di maturazione del diritto a pensione del Comparto Scuola e momento della decorrenza di tale diritto.
Urge perciò una revisione a tale provvedimento che tenga appunto presente della specificità del personale scolastico, portando avanti le proposte che sono state inoltrate al Parlamento durante l’ex Governo che le ha puntualmente bloccate, nonostante abbia ravvisato legittimità e fondatezza. Ma allora perché non considerarle? Unica risposta: perché non ci sarebbero stati fondi da destinare a tanto.