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Nell’isola da sogno, senza cellulari e dove si balla e si canta sempre, vivono 63 persone, tutte discendenti dello stesso uomo

E’ perfetta per chi vuole tagliare i ponti con la civiltà. Non che a Palmerston Island non ci sia qualche comodità: corrente elettrica e internet per qualche ora al giorno, un telefono satellitare o una televisione per i 63 abitanti dell’isola.

In compenso abbondano le noci di cocco, il pesce, e il silenzio rotto solo dal rumore del mare e del vento (e talvolta dalla musica dance che qualche abitante ama ascoltare).

Una terra ideale per chi ha bisogno di disintossicarsi da ogni tipo di dipendenza (droghe, alcol, internet, serie tv, cibo spazzatura) e di propensione alla violenza.

Non che la vita sia così idilliaca a Palmerston: ci sono due bagni per l’intera comunità, l’acqua potabile arriva solo dal cielo, e gli uragani possono in un attimo portar via i pochi edifici dell’isola. In compenso il tempo trascorre lento tra le attività di pesca, nuotate nella laguna, sfide di pallavolo e accordi di chitarra.

L’inconveniente è rappresentato dalla distanza: Palmerston è un luogo molto, molto difficile da raggiungere. Bisogna proprio volerci andare: è un atollo corallino che fa parte delle Isole Cook, nell’Oceano Pacifico, non solcato da nessuna nave, né sorvolato dagli aerei.

Due volte l’anno arriva una nave che porta i rifornimenti dalla Nuova Zelanda. Ci sono poi occasionalmente delle barche che in un paio di giorni riescono ad arrivare dalla capitale delle Isole Cook, Raratonga, mentre da Tahiti occorrono nove giorni di navigazione.

Programmare un viaggio a Palmerston è quindi un’impresa veramente difficile, ma potrebbe valerne la pena, anche solo per conoscere i suoi straordinari abitanti.

L’atollo, formata da cinque lingue di sabbia bianca adagiate su un anello di corallo, rimase disabitato fino al 1863, quando sbarcò il capostipite di tutti gli abitanti di Palmerston, William Marster.  Arrivò sull’isola, non si sa bene attraverso quali rotte, dall’Inghilterra. Partì dal Regno Unito (lasciando una moglie e due figli) forse per partecipare alla corsa all’oro in California. Poi si imbarcò su navi baleniere che incrociavano nelle acque della Nuova Zelanda.

Finché non arrivò a Tahiti, intorno al 1859, dove pare vivesse in condizioni di estrema indigenza, nonostante avesse sposato la figlia di un capo di una delle Isole Cook. Accettò quindi con entusiasmo l’incarico di custode a Palmerston, affidatogli dall’allora proprietario dell’isola, un commerciante scozzese di nome John Brander, che due volte l’anno passava a ritirare l’olio di cocco. Non arrivò da solo Marster, ma con sua moglie e due cugine di lei, che poi sposò. Tra pesca, nuoto e raccolta di noci di cocco, nacquero 23 figli, e poi nipoti e pronipoti. Oggi, qualcuno ha calcolato che sono circa un migliaio i discendenti di William, ma solo una sessantina di loro vive ancora sull’isola.